Ciao a tutt*,
Ti è mai capitato di essere in una fase serena della vita, lavoro stabile, relazioni affettive tranquille, salute buona, eppure sentire dentro una sorta di tensione costante, come se qualcosa stesse per accadere? Una specie di allarme interiore, privo di causa apparente, ma persistente. Questo fenomeno è tutt’altro che raro, e in ambito clinico lo incontriamo spesso, con pazienti che raccontano di non riuscire a rilassarsi nemmeno quando tutto va bene. È come se la mente non permettesse loro di “stare bene”.

Allarme interno: un pattern del sistema nervoso
La sensazione di “allarme costante” è profondamente legata a come funziona il nostro sistema nervoso autonomo, e in particolare al modo in cui si è regolato in risposta a esperienze passate. La teoria polivagale, sviluppata da Stephen Porges, ci aiuta a comprendere come alcune persone vivano in uno stato di iper-vigilanza, anche in assenza di pericolo reale. In termini fisiologici, il sistema simpatico è “acceso”, pronto a reagire, mentre il parasimpatico non riesce ad attivarsi pienamente per favorire rilassamento e sicurezza. In altre parole: il corpo non si fida della calma.
Quando la sicurezza è sconosciuta
Per molte persone, soprattutto coloro che hanno vissuto ambienti familiari imprevedibili o non sicuri, la sicurezza non è associata a qualcosa di stabile, ma a qualcosa di “sospetto”. Se sei cresciuto in un contesto in cui la tranquillità era spesso il preludio a un’esplosione (una lite, una punizione, un silenzio carico), potresti aver imparato a leggere la calma come una minaccia mascherata. In psicoterapia, questo si osserva con pazienti che riferiscono: “Quando tutto va bene, mi viene l’ansia. Sento che sta per succedere qualcosa di brutto”. E questo non è irrazionale: è il risultato di un condizionamento.
La memoria implicita: quando il corpo ricorda
Il nostro cervello conserva le esperienze non solo sotto forma di ricordi espliciti, ma anche come memorie implicite, spesso corporee, emozionali. Secondo autori come Bessel van der Kolk, nel suo lavoro “Il corpo accusa il colpo”, il corpo trattiene le tracce di esperienze traumatiche o stress prolungato. Il risultato? Anche quando cognitivamente una persona sa che tutto va bene, il corpo continua a reagire come se dovesse difendersi. È una forma di “sopravvivenza imparata”. Il pericolo non c’è, ma è come se ci fosse sempre.
Il ruolo dell’attaccamento e della regolazione affettiva
La teoria dell’attaccamento di John Bowlby ci offre un’altra chiave di lettura. Se un bambino ha avuto caregiver (genitori, figure significative) imprevedibili, incoerenti, distanti o troppo ansiosi, può sviluppare un modello operativo interno secondo cui il mondo è un posto instabile. Anche da adulto, una persona con uno stile di attaccamento insicuro (ambivalente o disorganizzato) tenderà a diffidare della stabilità emotiva. Una relazione sana, un momento di felicità, possono far emergere paura, ansia, confusione. Perché il benessere emotivo non è stato “appreso” come un luogo sicuro.
L’iper-controllo come strategia di difesa
Molti pazienti che riferiscono di sentirsi in allarme anche in momenti positivi, mostrano anche un bisogno elevato di controllo. In psicoterapia, questo si manifesta come un costante monitoraggio degli eventi, delle emozioni, delle persone intorno. Non si concedono mai una vera pausa. Perché? Perché, come alcuni dicono: “Se mi rilasso, succede qualcosa”. Qui l’ansia non è solo una risposta, ma una strategia di sopravvivenza, un modo per sentirsi pronti, come se l’essere in allarme potesse prevenire la catastrofe. Ovviamente, non è così ma il corpo ci crede.
Felicità come destabilizzazione: un paradosso
Un altro elemento psicologico centrale è il paradosso della felicità. Alcune persone non tollerano stati prolungati di benessere perché questi mettono in discussione l’identità che si sono costruite: quella del “sempre in lotta”, “sempre in difesa”, “sempre forte”. In psicoterapia emergono spesso vissuti come: “Non so chi sono quando sto bene”, oppure: “Quando sono felice mi sembra di perdere il controllo”. In questi casi, lo stato di allarme diventa un modo per restare ancorati a un senso di sé noto, anche se doloroso.
Esempi clinici (modificati per privacy)
Una paziente, Maria, raccontava di sentirsi in costante stato di allerta anche quando tutto sembrava perfetto. Dopo settimane di lavoro emerse che da bambina aveva vissuto una forte instabilità familiare, dove “la calma” era sempre il preludio di qualcosa di traumatico. In età adulta, la tranquillità scatenava in lei un’ansia profonda, come se dovesse difendersi da qualcosa che non vedeva. Un altro paziente, Luca, raccontava che ogni volta che una relazione diventava stabile e affettuosa, provava il desiderio irrazionale di sabotarla. La sensazione? “Non riesco a fidarmi della felicità. Troppo bello per essere vero”.
Quando il presente è contaminato dal passato
Ciò che accomuna questi vissuti è la mancata integrazione tra esperienza passata e presente. La persona si trova in una realtà oggettivamente sicura, ma la sua esperienza soggettiva è distorta dal passato. In psicoterapia, questo si osserva come una dissonanza costante: “So che non c’è pericolo, ma non riesco a crederci fino in fondo”. La mente logica e il corpo emotivo viaggiano su due binari diversi. E fino a quando non si lavora sulla coerenza interna, quella sensazione di “allarme immotivato” tende a persistere.
Conclusione
Sentirsi in allarme anche quando va tutto bene non è un sintomo da banalizzare. È un’informazione preziosa: racconta una storia interna di cui spesso non si è consapevoli. In psicoterapia, questo è un punto di partenza importante, non da correggere immediatamente, ma da ascoltare con rispetto. Il corpo, l’emozione, il disagio, stanno cercando di proteggerti da qualcosa che forse non è più reale, ma che è stato molto reale in passato. Non si tratta di “spegnere l’allarme” ma di capire perché si è acceso.
Fonti
Bowlby, J. (1969). Attaccamento e perdita. Basic Books.
Van der Kolk, B. (2014). The Body Keeps the Score. Penguin Books.
Porges, S. (2011). The Polyvagal Theory: Neurophysiological Foundations of Emotions, Attachment, Communication, and Self-regulation.
Siegel, D. J. (1999). The Developing Mind.
Schore, A. N. (2003). Affect Regulation and the Repair of the Self.
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Molto interessante, grazie
Mi ci riconosco molto